Esiste una correlazione tra gravità, o addirittura mortalità, delle malattia COVID-19 e obesità? È quello che numerosi scienziati di tutto il mondo stanno provando a scoprire.
L’obesità di per sé è un’epidemia globale e rappresenta uno dei maggiori problemi di sanità pubblica poiché è un fondamentale fattore di rischio per patologie croniche come il diabete mellito di tipo 2, le malattie cardiovascolari ed alcuni tumori.
È da sottolineare che sovrappeso e obesità, nel loro insieme, descrivono il quinto più importante fattore di rischio per mortalità globale; questo fa sì che i decessi attribuibili all’obesità si aggirino intorno ai 2,8 milioni/anno nel mondo. Un altro dato preoccupante è che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la prevalenza dell’obesità è raddoppiata dal 1980 ad oggi.
A rafforzare un’idea di correlazione tra obesità e gravità di COVID-19 ci sono tre possibili vie:
- esiste un forte legame tra obesità e malattie respiratorie, dimostrato dal fatto che un eccesso di peso è correlato ad asma, sindrome delle apnee notturne (OSAS) e sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS);
- l’obesità è caratterizzata da uno stato infiammatorio che coinvolge tutto l’organismo, definita “infiammazione sistemica cronica di basso grado”, che potrebbe agire direttamente nella patogenesi delle condizioni respiratorie. Sembra infatti che il grasso in eccesso provochi un iperattivazione del sistema del complemento dando come risultato una forte condizione infiammatoria. È stato evidenziato come su alcuni pazienti affetti da COVID-19 si sia sviluppata una condizione chiamata “tempesta di citochine” , una reazione immunitaria aggressiva che può portare alla morte. Questa presenza eccessiva di citochine, oltre a causare la suddetta infiammazione sistemica cronica di basso grado, riesce a compromettere la risposta immunitaria e può avere effetti negativi su parenchima polmonare e bronchi.
- il tessuto adiposo viscerale ha la capacità di secernere interleuchina 6 (IL-6). La cosa interessante è che nei soggetti deceduti per via della SARS-CoV-2 i livelli di IL-6 sono risultati elevati.
I soggetti che sono più a rischio di sviluppare una sindrome respiratoria acuta di grave entità derivante da SARS-CoV-2 sono quelli che presentano altre malattie pre-esistenti (come ipertensione, malattie cardiovascolari o altre malattie respiratorie). In questo gruppo però l’incide di massa corporea (dall’inglese Body Mass Index, BMI) è stato raramente inserito tra i fattori di rischio per il sopracitato SARS-CoV-2, nonostante l’obesità risultasse tra i fattori predisponenti l’infezione polmonare da H1N1.
Il BMI è un dato biometrico molto utilizzato per fornire una generale indicazione dello stato di peso-forma di un soggetto. Questo indice viene rappresentato mediante una tabella nella quale sono espressi dei valori che corrispondono ai vari stati di peso-forma al quale l’individuo appartiene (Tabella 1). Il BMI di un soggetto viene calcolato in maniera molto semplice, dividendo il suo peso in chilogrammi per la sua l’altezza in metri al quadrato.
CLASSE DI PESO | MIN | MAX |
GRAVE MAGREZZA | < 16 | |
SOTTOPESO | 16,1 | 17,5 |
LEGGERMENTE SOTTOPESO | 17,51 | 18,5 |
REGOLARE | 18,51 | 25 |
SOVRAPPESO | 25,01 | 30 |
OBESITA’ DI CLASSE I (MODERATA) | 30,01 | 35 |
OBESITA’ DI CLASSE II (GRAVE) | 35,1 | 40 |
OBESITA’ DI CLASSE III (MOLTO GRAVE) | > 40 |
In uno studio condotto da un team cinese si è notato come l’ 88% dei soggetti deceduti presentava un BMI maggiore di 25 e che solo il 18% dei sopravvissuti era in sovrappeso. Nel Regno Unito i dati riportati dal ICNARC (Intensive Care National Audit & Research Centre) mostrano che i pazienti affetti da obesità deceduti durante il ricovero in terapia intensiva rappresentano circa il 57% dei casi totali.
In Francia è stato fatto uno studio retrospettivo (ovvero uno studio che utilizza dei dati già esistenti per poter effettuare un confronto) che ha mostrato come un numero cospicuo di soggetti (circa il 76%) dei pazienti ricoverati per SARS-CoV-2 presentavano obesità. Nell’analisi è stato visto come obesità (BMI maggiore di 30) e obesità grave (BMI maggiore di 35) erano due condizioni molto frequenti tra i soggetti che hanno necessitato di ventilazione meccanica invasiva rispetto a coloro che non ne hanno avuto bisogno. Lo studio ha infine mostrato come la malattia derivante da SARS-CoV-2 abbia avuto un maggiore impatto sui soggetti che presentavano un BMI superiore a 35.
Negli Stati Uniti è stato invece stilato un rapporto che indica come tra i pazienti con complicanze polmonari da COVID-19 aventi un’età inferiore a 60 anni, coloro con un BMI compreso tra 30 e 35 avevano 1,8 volte più probabilità di essere ricoverati in terapia intensiva, mentre in quelli con un BMI superiore a 35 questa probabilità saliva a 3,6 volte rispetto ai pazienti con un BMI inferiore a 30.
Un’altra ipotesi effettuata è che le persone obese abbiano una certa difficoltà a raggiungere i livelli ottimali di vitamina D mantenendosi in una condizione di ipovitaminosi. E’ stato dimostrato che questa vitamina ha un ruolo positivo in numerose malattie infiammatorie/infettive polmonari e non solo. Per questo motivo esiste la possibilità che aggiungere la vitamina D a una terapia per combattere il COVID-19 possa migliorare la gestione della “tempesta di citochine” migliorando il profilo infiammatorio.
Concludendo possiamo supporre che l’obesità svolga quindi un ruolo nella predisposizione alle forme più gravi di COVID-19 tramite:
- infiammazione sistemica cronica di basso grado;
- presenza di eventuali comorbilità (come ad esempio diabete mellito di tipo 2);
- incremento dell’attivazione del sistema del complemento;
- secrezione eccessiva di IL-6;
- possibile presenza di adipociti ectopici all’interno dell’interstizio degli alveoli polmonari.