La sindrome dell’intestino irritabile, identificata con la sigla IBS (dall’inglese Irritable Bowel Syndrome) è una patologia molto diffusa a eziologia ignota. Ha una prevalenza che va dal 20 al 30% della popolazione, colpisce maggiormente le donne e ha un’età media che va dai 20 ai 40 anni coincidendo con il periodo in cui lo stress e l’attività lavorativa sono alla massima espressione.
Questa sindrome presenta un’alterazione funzionale dell’intestino senza la presenza di lesioni anatomiche specifiche, alterazioni metaboliche o biochimiche. I sintomi, riferiti dai pazienti, sono variegati ma hanno in comune un’eccessiva risposta motoria dell’intestino che incrementa la propria sensibilità. In ogni caso è una patologia che, con le sue manifestazioni, ha un forte impatto negativo sulla qualità della vita del paziente.
La comparsa dei sintomi avviene in maniera progressiva, a partire dall’età giovanile, e sono caratterizzati da alterazioni dell’alvo (dolore addominale, gonfiore e disturbi gastrici), da diarrea e da stipsi; ognuno dei quali rimane costante per tipo e gravità, dura più di due anni e non è mai presente durante il sonno notturno. Altre due caratteristiche importanti sono che, in presenza della patologia, mancano segni di malattia sistemica come calo ponderale o sanguinamento intestinale; ma al tempo stesso possono essere presenti dei sintomi extraintestinali, come una difficoltà nella deglutizione o disturbi ginecologici. L’IBS perciò è una patologia che viene diagnosticata per esclusione utilizzando dei test di laboratorio (ematocrito, colonscopia, anticorpi per celiachia, calprotectina fecale, breath test al lattulosio) e mediante l’utilizzo dei criteri di Roma del 2006.
Questa sindrome si può manifestare in 3 forme:
- prevalente stipsi con dolore addominale;
- prevalente diarrea senza dolore;
- alternanza di stipsi e diarrea.
Per l’IBS non esiste una cura specifica e per questo non si arriva mai ad una completa risoluzione, ma per contro è possibile ottenere un miglioramento significativo della sintomatologia. I tipi di trattamento sono essenzialmente due: uno farmacologico (ad esempio usando i principi attivi prucalopride, linaclotide e lubiprostone) che è mirato al sintomo specifico e uno alimentare correlato ad un cambiamento nello stile di vita. Tra i due interventi quello nutrizionale risulta essere più efficace per la possibilità di migliorare i sintomi intestinali.
Un approccio dietetico che sembra avere una buona efficacia nell’IBS è quello della “dieta FODMAP”. I FODMAP sono dei carboidrati a corta catena che sono largamente diffusi negli alimenti ma che al tempo stesso sono scarsamente assorbiti all’interno dell’intestino tenue e presentano un’elevata fermentabilità ad opera della flora batterica del colon. Appartengono alla classe dei FODMAP il fruttosio, il lattosio, i fruttani, i GOS (galatto-oligosaccaridi) e i polioli (tra i quali sorbitolo e mannitolo). La tabella 1 ci dà un’idea della diffusione di questi FODMAP all’interno degli alimenti.
Ma quali sono i meccanismi d’azione dei FODMAP? Possiamo classificarli come segue:
- fanno aumentare il contenuto di acqua nell’intestino tenue per via della loro azione osmotica;
- provocano un aumento della produzione di gas, in quanto dopo il loro ingresso nel colon sono fermentati dal microbioma intestinale (oltretutto peggiorando anche la distensione del lume intestinale);
- portano ad avere un’eccessiva produzione di SCFA (acidi grassi a catena corta).
Nell’insieme questi effetti, grazie anche alla presenza dell’aumentata ipersensibilità intestinale tipica dell’IBS, vanno a provocare dolore addominale, gonfiore, flatulenza e alterano le abitudini intestinali.
Le strategie dietetiche, in special modo il modello FODMAP, sono generalmente caratterizzate da diete “ad eliminazione” suddivise in più fasi: inizialmente vengono tolti interi gruppi alimentari, i quali verranno poi reintrodotti in modo controllato e isolato gli uni dagli altri. Essendo un regime alimentare molto particolare capita spesso che i pazienti siano insofferenti rispetto al piano dietetico per via delle difficoltà nel seguire la dieta e perché non provano soddisfazione nel mangiare i pasti stabiliti. Tuttavia, negli studi finora effettuati, sembra che una terapia dietetica priva di FODMAP riesca a migliorare i sintomi dell’IBS e al tempo stesso anche la qualità della vita. Bisogna considerare che una dieta, per essere classificata come povera di FODMAP, deve fornire un quantitativo inferiore a 0,5 g per pasto o comunque inferiore di 3 g/die. È possibile considerare questo modello alimentare anche come uno strumento diagnostico con il quale testare la tolleranza di ogni paziente ad alcuni alimenti al fine di poterli eliminare definitivamente dalla propria dieta.
In un interessante studio italiano di Cingolani et al. del 2020 il piano alimentare è stato impostato nel seguente modo:
- periodo iniziale di 4 settimane con un piano dietetico particolarmente povero di FODMAP;
- reintroduzione settimanale dei singoli gruppi FODMAP a scopo di test per valutare tolleranza agli alimenti eliminati in precedenza.
Alla fine dello studio, durato in totale 8 settimane, si è notato come riducendo l’assunzione giornaliera di FODMAP i pazienti abbiano raggiunto un complessivo miglioramento dei sintomi che ha portato all’incremento della qualità della vita in tutte le sue componenti (vita sociale, emotiva e lavorativa).
In un altro studio condotto da Guerreiro et al. nel 2020 è stato effettuato un confronto tra una dieta a basso contenuto di FODMAP e un modello alimentare standard basato sulle raccomandazioni dietetiche delle linee guida NICE (National Institute for Health and Care Excellence).
La dieta a basso contenuto di FODMAP si è protratta per 10 settimane (4 di eliminazione e 6 di reintegro controllato sotto forma di “test-food”); mentre la dieta standard è stata basata su pasti di piccole dimensioni e assunti in modo regolare tenendo sotto controllo assunzione di alcol, di caffeina, di alimenti ricchi in grassi, di alimenti ricchi in fibre (soprattutto fibre insolubili) e aumentando il consumo di acqua o altre bevande non zuccherate.
I risultati mostrano che escludere gli alimenti ricchi di FODMAP porta ad un miglioramento della sintomatologia dell’IBS in quantità maggiore rispetto ad una dieta standard, soprattutto nel caso di casi di diarrea. In ogni caso entrambe le diete hanno dimostrato efficacia nel miglioramento della qualità della vita e non sembrano aver creato degli scompensi nell’assunzione di fibre, calcio, potassio e magnesio.
La dieta FODMAP però presenta una serie di complicazioni e di limitazioni:
- è difficile da svolgere e da insegnare ai pazienti;
- è difficile da seguire e richiede molto tempo per la preparazione;
- potrebbe portare a un’eccessiva riduzione dei prebiotici naturali, derivati da FOS, GOS e fibre, con un successivo impatto negativo sul microbiota intestinale e sul metabolismo;
- è possibile la comparsa di stipsi;
- necessita di un operatore (medico o nutrizionista) addestrato e competente per scongiurare la presenza di squilibri nutrizionali garantendo l’adeguatezza del piano alimentare. Il professionista deve oltretutto spiegare al paziente la natura e lo scopo del piano alimentare e deve aiutare il soggetto a rispettare la dieta mediante frequenti controlli;
- esiste un’importante fetta dei malati di IBS che soffre anche di comorbidità psichiatriche;
- è fondamentale valutare l’efficacia a lungo termine di una dieta priva di FODMAP. In questo frangente è fondamentale una rieducazione alimentare per rendere i pazienti consapevoli delle proprie scelte alimentari.
Si può concludere dicendo che la dieta FODMAP ha portato notevoli benefici nel mitigare la patologia di IBS, migliorando dolore addominale, gonfiore, consistenza delle feci, percezione della gravità della malattia e le componenti fisiche e mentali correlate alla qualità della vita. Inoltre sarebbe opportuno valutare se esiste un possibile beneficio anche per altre patologie che hanno caratteristiche in comune con l’IBS, come l’IBD (Inflammatory Bowel Disease o malattie infiammatorie intestinali), disfunzioni esofagee, disfunzioni duodenali, enteropatie e sensibilità al glutine non cronica.
In conclusione è giusto sottolineare che questo modello alimentare è appena sbocciato perciò, per confermarne a pieno le potenzialità nel trattamento dell’IBS, saranno necessari altri numerosi studi su più vasta scala.
Tabella 1. Alimenti ad alto contenuto di FODMAP (Cingolani et al., 2020)
FODMAP | CATEGORIA | ALIMENTI |
Gruppo del FRUTTOSIO | ||
FRUTTA: | mela, pera, melone, pesca, mango, uva, ciliegia, anguria, frutta sciroppata; | |
ORTAGGI: | asparagi, carciofo; | |
LEGUMI: | pisello; | |
ALTRO: | concentrati di frutta con fruttosio, frutta secca, succhi di frutta, miele, sciroppo di mais, marmellate con fruttosio. | |
Gruppo del LATTOSIO | ||
LATTE: | tutti i tipi; | |
LATTICINI: | tutti i latticini ad esclusione dei formaggi molto stagionati; | |
Gruppo dei FRUTTANI | ||
CEREALI: | grano, segale, orzo e tutti i derivati; | |
ORTAGGI: | cipolla, scalogno, aglio, carciofo, asparago, barbabietola, cavoletto di Bruxelles, cavolo, broccolo, finocchio, porro, cicoria; | |
LEGUMI: | pisello; | |
FRUTTA: | caco, anguria; | |
FRUTTA SECCA: | noce, nocciola, pistacchio; | |
ALTRO: | inulina (si trova nei lassativi e nelle bevande a base di soia). | |
Gruppo dei GOS | ||
LEGUMI: | fagiolo, cece, lenticchia, soia. | |
Gruppo dei POLIOLI: | ||
FRUTTA: | mela, albicocca, pera, anguria, pesca, caco, ciliegia, prugna, litchi, uva passa, melone, mora; | |
ORTAGGI: | cavolfiore, fungo; | |
LEGUMI: | pisello; | |
DOLCIFICANTI: | tutti quelli che terminano con “-olo” ad esempio sorbitolo (E420), mannitolo (E421), xilitolo (E967), maltitolo (E965), isomaltitolo (E953). |